Laura Thermes
IMPETUOSA E TELLURICA
L’architettura di Marcello Guido rappresenta nel suo complesso un caso isolato e controverso di ricerca al limite, densa di trasgressioni linguistiche e di riferimenti innovativi, non lontani da una volontà utopica nella quale si avvertono echi delle straordinarie proiezioni mistiche e fantastiche di Gioacchino da Fiore e di Tommaso Campanella. In questa ricerca è possibile individuare alcuni caratteri che si ripetono, seppure con intensità e finalità variabili, in tutte le opere che l’architetto cosentino ha progettato e costruito. Il primo di questi caratteri è una tonalità linguistica che fonde la lezione di De Stijl con tematiche espressioniste. Questo inconsueto sincretismo tra due avanguardie, fatte prima rivivere nei loro principi essenziali e poi attualizzate con un preciso spirito filologico e con una grande capacità iconica, acquista aspetti dirompenti proponendo un mondo plastico solo apparentemente vicino alla poetica decostruttivista. In effetti l’architettura di Marcello Guido, più che rifarsi alle teorie derridiano-eisenmaniane, alle quali comunque è vicino, sembra suggerire una sorta di accumulazione iperstratificata di giaciture, di intersezioni tra queste, di improvvise irruzioni del caso, di ricalchi di cavità esistenti, il tutto in una sorta di iperdescrittività dell’apparato strutturale, contrastante con il loro aspetto disequilibrato e transitorio. Come nei Merzbau di Kurt Schwitters, le parti si sovrappongono l’una all’altra incorporandosi, traslandosi, fondendosi in configurazioni mutevoli e molteplici, allarmanti nella loro instabilità tettonica. Il secondo carattere dell’architettura di Marcello Guido consiste in un gusto estremistico per il frammento. Le sue composizioni, aggressive nei loro piani taglienti e nei loro spigoli acuminati possono essere lette infatti come un’aggregazione di frammenti che cedono parte della loro individualità all’insieme cui danno vita. In questo caso il frammento non è portatore di valori di matrice letteraria, né è inserito nella composizione in quanto pura entità figurativa sospesa tra unità e parte, come avviene in molte sperimentazioni che assumono il frammento stesso come componente primaria. Nelle opere di Marcello Guido il frammento si propone invece come residuo testimoniale di un atto costruttivo considerato intrinsecamente incompleto, ovvero come un processo che non può avere un vero compimento risolvendosi per questo in un segmento, anche se semanticamente orientato e carico di valenze libere, del percorso che dal progetto porta al manufatto. Il terzo carattere dell’architettura di Marcello Guido è una pronunciata attenzione nei confronti del contesto. Lungi dal consistere in sperimentazioni autoreferenziali e delocalizzate le opere che egli ha finora realizzato si situano nei loro luoghi riformulandoli nei loro tratti fondativi, riformulati con un sentimento esatto e colmo di intenzioni partecipative della loro interna e segreta costituzione, una attenta e poetica ridefinizione che restituisce l’identità profonda dei luoghi stessi.
I tre caratteri appena descritti si ritrovano ampiamente nel Museo del cavallo a Bisignano, un’architettura dalla improvvise accensioni verticali che conferiscono all’edificio un sapore neogotico, in accordo con la chiesa eclettica nei cui pressi sorge il manufatto. Nella Sistemazione dell’area archeologica di Piazza Toscano, a Cosenza, questi caratteri risultano esaltati in un’ autentica esplosione di divergenti e conflittuali vettori energetici. Tali linee di forza trascrivono le tracce stratificate che segnano il luogo in una sorta di catastrofe topologica che sovverte ogni possibile ordine metrico. In questa architettura il passato della città è raffigurato come un universo lacerato, attraversato da smottamenti e da vuoti, in un’allarmante metafora della discontinuità temporale. Alla sommessa e ermetica eloquenza dei resti dell’antico si sostituisce l’acuto stridore della grande cascata di acciaio e vetro, un paesaggio artificiale inciso da crepacci e costellato di seracchi che rinvia al “Mare di Ghiaccio” di Kaspar David Friedrich. Nei progetti per il Centro turistico di Pescolanciano, per il Polo Culturale per le minoranze etniche albanesi a San Giorgio Albanese e per il Parco Serra Crista a Acri e in alcuni concorsi, tra i quali quello per la Nuova Sede dello IUAV, la stessa concitazione plastica che pervade le opere già citate anima la composizione materializzandosi in aggrovigliati e violenti grumi spaziali i quali, assorbendo e addensando le energie presenti all’interno, si propongono come spettacolari segnali territoriali.
Il problema che l’architettura di Marcello Guido pone riguarda il suo risolversi in un processo di formalizzazione piuttosto che in vere e proprie forme. Privilegiando il momento genetico della composizione rispetto ai suoi esiti, l’edificio si trattiene fino in fondo all’interno di una condizione analitica rinunciando a un’ ulteriore fase di sintetizzazione figurativa che gli consenta di superare la sua consistenza magmatica ed evolutiva per approdare ad una espressione più semplificata e autonoma. Un’espressione dotata anche di una sua relativa impersonalità. In qualche modo la finalità comunicativa e contestativa che Marcello Guido si prefigge sembra trattenere, con la drammatizzazione della scrittura architettonica che ne consegue e con una parallela amplificazione del dato autografico, le sue opere nel campo di un costruire erratico e performativo. Un costruire che si dà come un collage di pezzi aggiunti l’uno all’altro in una crescita che è di natura cristallografica nel momento stesso in cui appare dotata dell’irregolarità pittoresca dell’architettura spontanea. Una crescita che sa di bricolage più che di chiarezza tettonica. Immergendo l’edificio in una temporalità mutevole che fa pensare alla trascrizione di un interrotto flusso di coscienza, Marcello Guido fa sì che la sua notevole sapienza compositiva si presenti più come una struttura narrativa che come una narrazione. Queste osservazioni, che cercano di restituire un percorso compositivo non facilmente decifrabile, potrebbero configurarsi come una critica al lungo e fecondo lavoro creativo di Marcello Guido, ma esse vanno interpretate in modo inverso a quanto dicono a una prima lettura. Con tutta probabilità è proprio in questo consapevole abbandono allo scorrere anche impetuoso delle cose e nella rinuncia a cogliere ciò che è il sedimento che tale scorrere deposita, che l’architettura impetuosa e tellurica di Marcello Guido trova il suo significato più resistente e necessario. Un significato che trascende senz’altro le componenti più esternamente neoavanguardistiche che essa esibisce per toccare la sostanza più riposta e durevole dell’architettura.