“L’architettura rappresenta l’insieme delle modifiche ed alterazioni operate sulla superficie terrestre, in vista delle necessità umane, eccettuato il puro deserto.” William Morris 1881

Nel trattare il tema di cosa è l’architettura e  dove  essa va,  devo avvertire il  lettore che questo è il mio personale punto di vista, che può essere condiviso e sarà senz’altro discutibile perché di parte, intransigente e privo di compromessi,  in ogni caso mai ossequioso ed appiattito nel conformismo  che avvolge la situazione italiana come in una nube tossica, putrida e velenosa.

Questa situazione permane nel nostro paese ormai  da mezzo millennio e  siccome i figli si formano  nella  educazione paterna  al fondo non vi è mai fine.  La situazione italiana può essere rappresentata da una  vorticosa spirale   che ha virato ormai da tempo verso la mediocrità  con  i centri di formazione culturale che non sviluppano alcunché  se non il mantenimento dello status quo. Per  parafrasare  un  divertente gioco di parole di Benedetto Croce, tutti sanno cosa è l’architettura ma in realtà nessuno sa cosa  essa sia.

Naturalmente  in questi ultimi cinquecento  anni senz’altro vi sono stati degli architetti geniali,  con personalità e ricerche  dirompenti e   ma la loro lezione è stata sempre obliterata, tradotta dai sacerdoti di turno   ed anche  nascosta  come fosse qualcosa di cui vergognarsi.

ma cosa è realmente l’architettura?

  • Vitruvio:  Architecti est scientia pluribus disciplinis et variis eruditionibus ornata, [cuius iudicio probantur omnia] quae ab ceteris artibus perficiuntur. Opera ea nascitur et fabrica et ratiocinatione. Fabrica est continuata ac trita usus meditatio, quae manibus perficitur e materia cuiuscumque generis opus est ad propositum deformationis. Ratiocinatio autem est. quae res fabricatas sollertiae ac rationis proportione demonstrare atque explicare potest.
  • Leon Battista Alberti: Architettore chiamerò io colui, il quale saprà con certa, e maravigliosa ragione, e regola, sì con la mente, e con lo animo divisare; sì con la opera recare a fine tutte quelle cose, le quali mediante movimenti dei pesi, congiungimenti, e ammassamenti di corpi, si possono con gran dignità accomodare benissimo all’uso de gli homini.
  • Francesco Milizia: L’architettura è l’arte del fabbricare.
  • Friedrich Nietzsche: Quelli che creano sono duri di cuore.
  • Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno: Un’architettura degna dell’uomo deve avere degli uomini e della società un’idea migliore di quella corrispondente al loro stato reale.
  • Camillo Boito: l’architettura è una forma di oppio.
  • Adolf Loos : Solo una  parte dell’architettura appartiene all’arte: il sepolcro e il monumento. Il resto deve essere escluso dal regno dell’arte. Ornamento è delitto.
  • Ludwig Mies van der Rohe: L’architettura è la volontà spaziale  espressa in una determinata società.
  • Le Corbusier: L’architettura è qualcosa che suscita emozioni.
  • Luis Sullivan: L’ornamento è mentalmente un lusso, non una necessità.
  • Giancarlo De Carlo: L’architettura è troppo importante per essere lasciata agli architetti.
  • Bruno Zevi: Lo spazio, protagonista dell’architettura.
  • Frank Gehry: L’architettura è sicuramente un’arte, e coloro che praticano l’arte dell’architettura sono di certo architetti.
Ognuno di noi    trova  qualcosa che gli appartiene in molte  di  queste definizioni ma sono sicuro  che  l’architettura evoca qualcosa  che è altro  ed ha  al proprio interno  una trasversalità da reperire   in  tutto ciò che si muove intorno a noi.
La  bella  frase di William Morris   scritta all’inizio è ancora valida e  calzante?
Le foto sotto rappresentano l’ architettura citata da William Morris?
Nelle prime due  sono  rappresentate due volti della periferia di Città del Messico:  un territorio organizzato da una griglia  di  infrastrutture viarie ed un territorio sterminato privo di qualsiasi pianificazione, nella sterza  è rappresentato una parte del territorio di  Rio de Janeiro, nella  quarta  la periferia di una città della Mauritania.

Personalmente penso che l’architettura debba essere  sostanzialmente costruzione  dello spazio, e nelle  foto sopra  non vi è spazio ma  alienazione, lo spazio evidentemente assomma una serie di  componenti e dinamiche  che in queste immagini non sono prese minimamente in considerazione.

Vi è un magnifico passo dell’Eliante  in cui Brandi afferma che  la spiritualità umana   avverte la necessità  di superare il bisogno pratico  nel suo stesso bisogno. In architettura lo spazio si svincola a questo punto dal suo essere unicamente riparo e  realtà esistenziale esterna allo spirito  e diventa in architettura  sua espressione. In tal senso l’architettura diventa una operazione complessa e  priva di  limiti , un nuovo modello categoriale che respinge il mito di una perfezione definitiva  alienante  al pari delle immagini  pubblicate sopra.

Ma una architettura espressa in tali termini  ci porta a fare  alcune considerazioni che riguardano  alcuni edifici del nostro passato:

 

I due edifici (Palazzo Strozzi a Firenze e la Villa Farnese a Caprararola)  più celebrati del  rinascimento  esprimono la prerogativa  di essere espressione dello spirito oppure contengono  una  forma di alienazione  che  pone la  loro  stessa  immagine come oggetto?

Riescono ad instaurare un dialogo con il fruitore, il paesaggio, l’intorno, la città  ecc. oppure   si auto-alimentano in un soliloquio rivolto unicamente  verso se stessi?

Non rappresentano forse un’assurda pazzia di ……….. inscatolamento antispirituale, antiigienico, antipratico? (Manifesto Futurista dell’architettura aerea)

I due edifizi  simbolo del rinascimento  sono chiusi in se stessi e non vogliono prendono in considerazione    le dinamiche  umane   necessarie a far si che lo spazio  riesca a vivere di vita propria, non interagiscono con l’esterno  ed una qualsiasi pur piccola perturbazione ne sconvolgerebbe la loro medesima ragione di essere. Risultano prigionieri di se stessi nel mito irraggiungibile della proporzione e dell’ordine oltre che  degli automatismi imposti dalle medesime regole rinascimentali. In questi  edifizi viene  meno  qualsiasi  colloquio  con  l’intorno e si pongono, nella loro aggressività  come inumani e violenti.

 

Questa foto riesce a sintetizzare  al meglio  il significato delle frasi  prima  scritte: un caos dinamico ed in perpetua evoluzione dove ogni  elemento partecipa attivamente alle perturbazioni che  assumono uno status di possibilità ed  opportunità per ogni elemento che contribuisce  all’azione medesima.

Edifici  paradigmatici  nati  all’interno della logica    umanistico-rinascimentale:

Ma anche questi non sono forse edifici rinascimentali?

Sigfried Giedion  nel suo   Space Time and Architecture  si fa portavoce  e promotore degli architetti  della   prima metà del novecento  che con le loro  opere  alludono  ad   istanze derivate  o già presenti nel Rinascimento.  Il mito era  la meccanizzazione dei processi costruttivi tali da rendere il fabbricato  privo delle istanze legate  all’individuo   e   riproducibile su  scala generalizzata e  collettiva.

“In genere, i palazzi rinascimentali sono simmetrici e questo è il motivo per cui il Rinascimento non ha prodotto città umane, organiche. Le poche «città ideali» realizzate s’ispirarono agli insediamenti militari, alle prigioni e ai cimiteri. Anche le ville rinascimentali sono di norma simmetriche: odiano la natura, la crescita, squadrano gli alberi per uniformarli.”    Bruno Zevi “Architecture versus Historic Criticism”, discorso annuale del Royal Institute of British Architects (RIBA), Londra, 6 dlcembre 1983

In quelle opere, nate da istanze cubiste, veniva sterilizzato il processo di costruzione dello spazio e si esasperava una scomposizione  legata unicamente ad una  enumerazione componentistica  priva di qualsiasi evento legato all’azione. In questa volontà di procedere smontando un sistema  complesso e riducendolo a tante singole  parti, sufficientemente piccole da poter essere ben capite nei loro processi evolutivi, si è arrivati ad imbalsamare l’edificio che non ha più alcuna  relazione  con il vivere umano. E’ appunto questo atteggiamento che lega  molte figure del razionalismo europeo  agli accademismi rinascimentali:  il proporre  il progetto della fabbrica  senza una paternità definita  per assembrarlo e relazionarlo unicamente alle funzioni. Tale atteggiamento portava al  rifiuto dell’intero patrimonio culturale del passato pre-rinascimentale ed   all’annullamento di  tutte le prerogative espressioniste legate alla fluidità dello spazio in  omaggio ad un sintesi immobilista  che precipitava negli accademismi elaborati dal XV  secolo.

Fu proprio il grande patrocinatore di quella  modernità  funzionalista  che negli ultimi anni della sua vita pubblica  The eternal present: The beginnings of art  e ripercorre i millenni di vita umana antecedente la storia  per liberare il pensiero da una  nuova  ed ancora più alienante tradizione  che si era formata attraverso le opere  degli  architetti del  razionalismo europeo. Intuisce che il presente, per essere realmente capace di incidere, deve necessariamente  contenere quel passato del mondo della preistoria e della protostoria precedentemente  nascosto come una vergogna umana.  Deve contenere   cioè quelle condizioni  di  continuo mutamento che  gli architetti inclusi nel suo   Space, Time and Architecture non potevano più offrire.

«Sei un animale», «sei peggio di una bestia», «sei un verme»: espressioni ingiuriose che la dicono lunga sui nostri rapporti col mondo animale. Per secoli abbiamo infierito su di loro: li abbiamo sfruttati, torturati, sacrificati, disprezzati e questo ha lasciato tra le nostre parole l’ ombra nera di una colpa che neppure l’ onda animalista di questi ultimi anni potrà cancellare. Ma la lunga storia dell’ umanità conserva negli strati più profondi anche la memoria di un tempo in cui erano proprio gli animali i veri signori del mondo. Tutto cominciò nel Paleolitico, un’ epoca misurabile in milioni di anni, quando gli animali dominavano il nostro mondo fisico e metafisico e noi, nudi e inermi, li dipingevamo nelle caverne invocando la potenza del dio bisonte, l’ agilità del dio cervo e la fecondità delle tante Madri che riempivano di vita l’ universo intero. «Di quell’ era zoomorfica – ha scritto Sigfried Giedion, ne “L’ eterno presente: Le origini dell’ arte” - abbiamo oggi perduto la comprensione, ma la sua incommensurabile durata è un indizio di quali tremendi legami abbiano tenuto avvinto l’ uomo all’ animale». 

Domenici Viviano. Corriere della Sera (19 aprile 2006)

Evidentemente  non si tratta di  giudicare  la grotta  come il luogo ideale in cui vivere  oppure  ascriverla alla condizione di   opera d’arte  perchè non lo è e non lo potrà mai essere. Dai millenni della preistoria  si deve acquisire  un processo  nel quale non vi sono riferimenti relativi a metodologie  progettuali,  gli spazi fruiti dall’uomo nella preistoria  non  scaturiscono dalla pianta oppure dal prospetto  per il semplice motivo che tutto ciò non esiste. Lo spazio non è omologato perché  non  esistono pareti, non esistono pavimenti e soffitti, non esiste lo spazio chiuso ma  totalmente    relazionato  alla vita che si svolge in essa, una dimensione  aperta alle dinamiche ed in continua  evoluzione.  E’ questo il significato principale che Giedion ci propone di  analizzare   attraverso il suo The eternal present: The beginnings of art.

La caverna ed il  Vivre à  l’oblique  di Claude Parent

 

Suona quindi calzante il grido di Sant’Elia  che nel luglio 1916 dichiarava:

“Noi dobbiamo inventare e rifabbricare la città futurista simile ad un immenso cantiere tumultuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte, [...] La casa di cemento, di vetro, di ferro deve essere sull’orlo di un abisso tumultuante: la strada, la quale [...] sprofonderà nella terra per parecchi piani che accoglieranno il traffico metropolitano, e saranno congiunti, per i transiti necessari, da passerelle metalliche e da velocissimi tapis roulants”. 
Il problema delll’architettura moderna non è un problema di rimaneggiamento lineare[...]. Non si tratta di trovare nuove marginature di finestre e di porte, ma di creare di sana pianta la casa futurista [...] con ogni risorsa della tecnica, determinando nuove forme, nuove linee. L’archittettura futurista deve essere nuova come è nuovo il nostro stato d’animo.” Manifesto dell’architettura futurista. Milano 1916

Non si tratta di  un problema di natura  formale  ma  linguistico, non è possibile veicolare la costruzione dell’architettura attraverso i codici  derivanti  dal pensiero rinascimentale   ed inoltre la modernità  non è legata propriamente  a  contingenze temporali  ma attraversa cinque millenni di storia dell’architettura in una  trasversalità  che azzera continuamente  i linguaggi codificati  e propone una estetica di rottura rispetto agli schemi istituzionalizzati, ogni  crisi ed azzeramento  porta grandi accelerazioni, rifiuta i modelli universali, e propone  contingenze autonome e soggettive.

Dove va l’architettura?

Mi piace immaginare una architettura  che si muove  tenendo conto delle rotture linguistiche passate, degli scatti creativi, delle complessità,  dell’auto-alimentarsi  senza  regole e riferimenti,  che si rigenera nell’impeto incontrollato dei maestri del passato e di tutti coloro  che hanno ripudiato gli apparati delle convenzioni,dei modelli, delle abitudini,dei riferimenti geometrici e di quant’altro  era necessario per  omologare e controllare   una  identità  legata all’individuo ed alle proprie aspirazioni ed ai propri sogni.

Mi piace immaginare una architettura che possa tradurre in termini spaziali  le opere di Jackson Pollok e di  Willem De Kooning ,

 

 

Mi piace immaginare una architettura che possa  assimilare la temporalità  espressa  nei percorsi   organizzati dagli architetti   del tardo-impero,

 

 

Mi piace immaginare una architettura  che  ripercorra le conquiste spaziali  intese in termini  paesaggistici dell’alto medioevo,

 

Mi piace immaginare una architettura che si alimenta attraverso gli intrecci spaziali borrominiani,

 

Mi piace immaginare una architettura che assimili  e rigeneri  le   fluidità spaziali di   Antoni Gaudi,

Mi piace immaginare una architettura che  lavora sulle complessità  intese a  risementizzare   i panorami  del brutto e  dell’escluso per reperirne valori e potenzialità. Una architettura senza regole  che rappresenti la supremazia della creatività e del sogno.