Modernità ed architettura nuragica
Nel lungo passaggio dal neolitico alla protostoria Sarda si sviluppa nell’isola una civiltà definita “nurake” che sotto gli aspetti architettonici ed urbanistici appare inedita e per alcuni versi sconvolgente. I circa 7000 complessi sparsi sul territorio Sardo negano il concetto stesso di edificio e si pongono come aggregati che condensano in tutt’uno il significato di architettura ed urbanistica.
Essi non sono edifici intesi nella accezione di singola unità per abitare, ma non sono neanche città in quanto la loro dimensione risulta costantemente riconducibile ad unità di vicinato, rappresentando però in modo eccezionale una comunità spalmata sul territorio “capace d’iniziativa, espansiva ed estroversa per la pienezza di identità e la forza culturale dimostrate,nel riscontro archeologico, dai grandiosi monumenti architettonici. Giovanni Lilliu. La civiltà Nuragica” In quel tempo nell’isola non esistevano città ma la popolazione di circa 300.000 abitanti viveva nelle 7000 unità presenti sul territorio.
Tutto il nostro bagaglio culturale di derivazione greco-romana basato sulla linearità è immediatamente azzerato in un coacervo di sensazioni che rimandano ad una modernità primordiale esente di qualsiasi intellettualismo e rapportata unicamente al vivere quotidiano.
Gli organismi nuragici nascono per gemmazione continua e con un continuo rapporto con l’intorno, non esistono geometrie ma una linea costante auto-rappresentata nella sinuosità e nel curvilineo.
La collettività nurake non conosceva la linea dritta ma unicamente la linea in quanto tale e la utilizzava con la libertà anarchica di chi non pone i limiti e le regole intervenute dopo la conquista romana.
- La genesi dell’impianto è libera, non vi sono gerarchie e tracciati predeterminati ma il tutto risulta fluido ed in continua evoluzione.
- Non è prevista la prospettiva ma la percezione visiva si rapporta unicamente al percorso di connessione delle varie cellule.
- Non esiste il limite nella sua definizione di confine e non esiste alcuna cesura tra l’aggregato ed il territorio perché entrambi si compenetrano in quanto non esiste gerarchia o rapporto subordinato riuscendo ad essere architettura ed urbanistica insieme in un insieme organico.
“Abbandonata nel 238 a.c. Barumini è idealmente risorta a New York quando nella mostra sul decostruttivismo si sostenne il diritto degli architetti a non aspirare più al perfetto, al puro, per cercare la creatività nel disagio, nell’incertezza, nel disturbato.” Bruno Zevi, Controstoria e storia dell’architettura.
“Preindoeuropeo, o di sustrato mediterraneo, è anche il nome del monumento:
nuraghe, detto pure altrimenti, a seconda dei distretti e dialetti della
Sardegna, nuràke, nuràxi, nuràcci, nuràgi, naràcu etc. Questo termine, specie
nel secolo XIX, fu messo in relazione con la radice fenicia di nur, che vuol dire
“fuoco”, e fu spiegato come “fuoco” nel senso di “dimora” o di “tempio del fuoco”,
con riferimento a culti solari che si sarebbero praticati sulla terrazza delle
torri nuragiche. Oggi, invece, i filologi propendono a considerare il vocabolo
nuraghe come un reliquato della parlata primitiva paleomediterranea, da ricollegarsi
col radicale nur e con le varianti nor, nul, nol, nar etc.: radicale largamente
diffuso nei paesi del Mediterraneo, dall’Anatolia all’Africa, alle Baleari,
alla Penisola iberica, alla Francia, col duplice significato, opposto ma unitario,
di “mucchio” e di “cavità”. Il vocabolo stesso poi indicherebbe non la destinazione
ma la speciale forma costruttiva del nuraghe, il quale vorrebbe dire appunto
“mucchio cavo”, “costruzione cava”, “torre cava”, a causa della figura turrita
del suo esterno, fatta per accumulo di grossi massi, e per la cavità cupoliforme
dell’interno. Comunque si pensi di ciò (altri hanno supposto anche un’equazione
nur-mur di “muro”), certo è che la diffusione del radicale nur in paesi a
monumenti megalitici, indizia nella parola qualcosa di connesso o di espresso
da civiltà architettoniche le quali avevano il gusto e il senso “religioso” di costruire
con grandi pietre senza cemento (stile megalitico) al fine di ottenere edifizi
duraturi, eterni nell’intento di quelle ingenue genti primitive.”Giovanni Lilliu. I nuraghi
La nostra percezione dell’entità culturale che oggi chiamiamo “civiltà nuragica” risulta fortemente condizionata dalle elaborazioni architettoniche che tale civiltà è stata capace di produrre: i templi a pozzo, le tombe dei giganti, i templi a “megaron” e, soprattutto, i nuraghi.
“Questi monumenti sono infatti così numerosi ed architettonicamente presenti nel paesaggio sardo da aver convinto gli studiosi dell’opportunità di usarne il nome per definire l’intera civiltà che li produsse.
Il dato indiscutibile è che il sistema culturale che denominiamo “civiltà nuragica” sentì la necessità (per ragioni non ancora del tutto chiarite) di impegnarsi nell’imponente sforzo di erigere un notevole numero di monumenti raffinati e complessi, giungendo a realizzare un’impresa di natura architettonica priva di precedenti nella storia dell’isola.
Questo enorme sforzo costruttivo fu un modo peculiare per rispondere alle nuove esigenze determinate dallo sviluppo sociale, politico, economico, religioso, insomma in una parola “culturale” raggiunto in Sardegna in quest’epoca, e fu preceduto da una serie di esperimenti, fra i quali rientrano i protonuraghi, comunque costruiti anche in età nuragica.” http://www.sardegnacultura.it